giovedì 23 febbraio 2012

Il Romanzone - parte 3


Le nuvole hanno abbandonato Londra e il sole è ormai quasi scomparso al di là dei palazzi della capitale, illuminandola fiocamente. Con una carrozza si recano al numero 9 di Audley Court, dove il secondo ispettore chiede a Robert di spiegare la sua presenza sulla scena del crimine.
“Piacere”, dice tendendo la mano “Sono Robert Downey Stuart, lei deve essere l’ispettore Grenn”
“Edgar, lui è mio fratello”, interviene Christopher “e ha il mio permesso per restare qui.”
L’ispettore Edgar Grenn guarda con diffidenza prima Robert, poi Christopher, suo eterno rivale a Scotland Yard, la caserma di polizia.
Robert ricorda le parole del libro mentre osserva la scena del crimine, notando una piccola differenza.
“Christopher, guarda qui. Il portafogli è posto vicino al cadavere. È pieno, non è stato effettuato alcun furto, ma nel libro Doyle non parla della posizione del portafogli, e le tasche sono rovesciate. L’assassino cercava qualcosa che, evidentemente, pensava fosse indosso a Doyle, e non ha avuto il tempo di rimettere il corpo in ordine, forse perché ha sentito la guardia arrivare. E un’altra cosa non mi convince. Guarda a terra, tra la polvere si notano le impronte di numerosi piedi. Vedi questo solco? Sembra di un bastone da passeggio, neanche questo menzionato nel libro. Ora passiamo alla scritta sul muro. L’assassino del libro usa il sangue sgorgatogli dal naso per l’emozione. Dubito che il nostro uomo abbia fatto lo stesso. Si vede che è sangue, ma la scritta è poco nitida, evidentemente ne ha usato poco. Visto che il cadavere non ha tagli, l’uomo che stiamo cercando deve essersi procurato una ferita e aver usato il suo sangue.”
Robert si china e avvicina il viso a quello di Doyle, il naso sulla sua bocca.
“Come pensavo: veleno. Il tipico odore di mandorle amare lascia intuire che si tratta di cianuro di potassio: 150 mg e in 8/10 secondi la vittima muore per arresto respiratorio e cardiocircolatorio.”
“Ero sicuro che portarti qui sarebbe stata un’ottima idea!” Mentre Christopher termina la frase, sente una donna piangere tra le urla e, girandosi, la vede farsi strada tra i poliziotti e gettarsi sul cadavere. Maria Hawkiles, la moglie di Arthur Conan Doyle, è distrutta per l’improvvisa perdita del marito. Christopher e Robert decidono di porre qualche domanda al figlio Adriano, più calmo della madre, ma altrettanto triste.
“Non so cosa l’assassino avrebbe potuto volere da mio padre. Non aveva nemici, le uniche persone che lo cercavano erano i suoi lettori. Ora che ci penso, ieri è uscito proprio per questo, per incontrare un ammiratore. Gli era arrivata una lettera...” Il figlio si volta verso la madre che, tra le lacrime, riesce a continuare il discorso del giovane: “Sì, un ammiratore diceva di volerlo incontrare per un tè. Doveva recarsi qui, al numero 9 di Audley Court. Non aveva firmato, eccola.” Mentre la donna continua a piangere, Robert e Christopher si allontanano, consapevoli che la lettera li aiuterà a risolvere il caso. La grafia decisa e netta lascia pensare che sia stata scritta da un uomo e l’inarcamento di alcune consonanti precisa che si tratta di un  mancino.
“Conosco questo tipo di carta. Proviene dalla Francia, e l’unico a venderla qui in città è un mercante in Golborne Road”, esclama Christopher soddisfatto. “Purtroppo è tardi, non potrebbe accoglierci a quest’ora.”
“Non temere, passeremo domani. Ceniamo nel pub di cui ti ho parlato. Il cuoco è italiano e le cameriere sono disponibili e gentili”
I due fratelli riescono a distrarsi per qualche ora, dimenticando apparentemente l’oscuro caso che devono risolvere.


Mariagrazia Aprea IV L/A

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