giovedì 23 febbraio 2012

Costa tragica: il Titanic del 2012

Era il 13 gennaio 2012, quando la Costa Concordia, costeggiando l’Isola del Giglio, è stata protagonista di una catastrofe di richiamo internazionale. Evidentemente, nessuno si è accorto della presenza del gruppo delle Scole (che possiamo trovare anche sulle mappe per iPad, iPhone, ecc..), luogo particolarmente indicato per le immersioni subacquee, e parte delle aree marine protette italiane. Ma è mai possibile che qualcuno si sia reso conto della presenza degli scogli solo pochi minuti prima dell’impatto, vedendo il mare incresparsi ad un certo punto dell’orizzonte? Io non credo. I radar di bordo segnalano tutto, e nel momento in cui riscontrano un probabile pericolo innescano la sirena, ed è impossibile non sentirla. Però, si sa, ci sono alcuni casi in cui le sirene vengono spente, giusto per non dare fastidio … casi come questo, giustificato dal dover effettuare “l’inchino” per riguardo dell’ex comandante Mario Palumbo.

Precisamente, quel venerdì sera, alle 21:42, la Concordia ha urtato una roccia, aprendo un’enorme falla di circa 70 metri sul lato sinistro, provocando l’interruzione immediata della crociera, un forte sbandamento e il conseguente arenamento. Sarà stata tutta colpa del comandante Schettino, oppure c’è lo zampino di qualcun altro? Non si sa, e credo non si saprà mai. Fatto sta che il comandante ha sbagliato, eccedendo con la velocità, perché per costeggiare un luogo come quello si deve andare al massimo a 4 o 5 nodi, non a 16! Un altro grande errore è stato quello di abbandonare la nave. D’altro canto, neanche De Falco dovrebbe essere considerato un eroe, dato che la capitaneria di porto monitora le rotte delle navi che passano, e se nota qualcosa di strano, è tenuta a contattare la plancia di comando e comunicare il troppo avvicinamento o la troppa velocità impiegata dalla nave.

Oltre a questi avvenimenti, abbiamo tutti visto e ascoltato le milioni di stupidaggini che hanno detto giornalisti e/o passeggeri, che hanno voluto approfittare della situazione per intascare un bel gruzzoletto. Partiamo dalla prova di evacuazione. Sinceramente, dopo aver partecipato a ben 12 crociere, mi permetto di dire la mia perché credo di sapere come funzionino le cose a bordo. Avendo fatto un giro molto simile, ricordo che Civitavecchia è solo la prima delle due tappe in cui salgono i passeggeri, perché gli altri sarebbero imbarcati a Savona il giorno dopo. La prova di evacuazione si svolge, di norma, quando tutti i passeggeri della crociera sono a bordo, non soltanto metà, quindi l’avrebbero svolta il 14 gennaio, secondo il programma. Avrebbero avuto il tempo di andare in cabina, leggere il regolamento posizionato nella parte posteriore della porta, vedere dove sono situati i giubbotti di salvataggio (nell’armadio) e capire la muster station in cui si sarebbero dovuti recare in casi estremi. Un’altra diffamazione riguarda la scarsa preparazione dell’equipaggio nel gestire la situazione. Pochi sanno che, una volta effettuata la prova per i passeggeri, si procede con quella del personale di bordo. Tra avvisi, fischi e salvagente, tutto l’equipaggio si reca sul ponte, si calano le scialuppe in acqua e si porta a termine l’esercitazione. Il destino ha voluto che la più grande tragedia sia stata l’inclinazione subita dalla nave, che non ha reso possibile l’accesso alle cabine per recuperare i giubbotti né calare alcune scialuppe su entrambi i lati della nave. Non è che un gigante del genere non ne sia dotato! L’inclinazione è avvenuta perché si sono immediatamente allagati tre compartimenti stagni, rendendo inaccessibile la sala macchine, ed è proprio lì che devono esserci state le prime vittime. Questo perché non si è capita subito la gravità dell’accaduto.

Io resto dell’idea che tale tragedia sia frutto di un bel po’ di concause e di un errore fatto esclusivamente sulla plancia di comando: non si può fare di tutt’erba un fascio! È sbagliato dire di non voler più salire su una nave, di non voler fare più alcuna crociera o prendersela con la compagnia. Così facendo, si intaccherebbe anche lo sviluppo economico in questo settore, ma soprattutto andrebbe scemando una tradizione italiana che dura da millenni.



Monia Martorelli

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